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14 maggio 2008

Si prega di allacciare le cinture, stiamo ancora evolvendo!

Siamo seduti come nani sulle spalle dei giganti. Fatto incontrovertibile.
Più difficile è valutare qualitativamente il contributo che ogni ricercatore regala alle generazioni successive e alla propria.
Nel mondo dei ciclidi il nome di George W. Barlow spicca sulla moltitudine e la valutazione, purtroppo postuma, non lascia spazio a dubbio alcuno. Barlow è stato pioniere, ricercatore di talento e grandissimo divulgatore. Gigante appunto.

Nel suo libro più bello "The cichlid fishes: nature's grand experiment in evolution" non si libra nei virtuosismi della biologia teorica che ci piacciono tanto. I ciclidi sono, de facto, un virtuosismo vivente.


"The cichlid fishes are a natural treasure, a priceless gift to Darwinists...The cichlid fishes are almost too good to be true, and nobody is better qualified to show them to us than George Barlow. But he does more than tell us about his beloved fishes. He makes his fishes tell us about ourselves."
Richard Dawkins




Grazie alla lungimiranza di alcune persone il libro è stato tradotto (benissimo tra le altre cose), in italiano. Ogni amante della natura dovrebbe averne una copia nella propria libreria.


Ad un pilastro come Barlow non poteva mancare una dedica tassonomica di livello. La dedica è arrivata e non poteva essere migliore.
Ingo Hahn e Uwe Romer gli hanno dedicato la più incredibile specie di Apistogramma mai scoperta: Apistogramma barlowi.
Ma andiamo con ordine.

Nel '99 si viene a sapere dell'esistenza di un Apistogramma incubatore orale proveniente dal Perù. Viene commercializzato come A. "breitbenden"/ "breastband" o "maulbrtuer" / "mouthbrooder". Clamore inverosimile. Tutti gli apisto depongono su substrato. Diverse strategie riproduttive è vero, poligamia in tutte le salse, monogamia, rapimento dei piccoli ecc., ma tutte le specie conosciute fino ad allora, descritte e non, deponevano su substrato.
Nelle stesse località di cattura si presumeva l'esistenza di un altra popolazione conservatrice che sembrava essere una specie davvero molto affine. Una incuba l'altra depone. Sembrava tutto molto coerente.




Ulteriore passo indietro. L'areale di distribuzione di A. barlowi interessa il Perù settentrionale; nelle acqua chiare del Rio Ampiyacu è sita la località tipo . Ora, la caratteristica dei corpi idrici sub-andini è l'estrema variabilità delle condizioni ecologiche anche nel breve periodo. La parola d'ordine è plasticità.
Quando aumenta la velocità dell'acqua c'è poco da stare allegri se il tuo investimento parentale più grande, le uova, sono state deposte sulla sabbia o peggio ancora su di una foglia secca. La covata rischia di essere spazzata via con tutta la tua sudatissima fitness. Teniamolo a mente.

Come tutte le specie del cacatuoides complex, A. barlowi si ritrova un gran bel capoccione una bocca enorma e labbroni non indifferenti. La prima regola dell'adattamento rapido è: usa quello che hai che per fare altre strutture c'è sempre tempo (sempre che la selezione naturale non ti spazzi via). Detto fatto. Le femmine portano in bocca le uova, le larve e i piccoli per lungo tempo. Anche i maschi qualche volta lo fanno (ma non ci sono molti dati a riguardo). La cosa bella è che, anche in condizioni sperimentali, la frequenza di femmine che incubano le uova in bocca aumenta moltissimo in condizioni di forte corrente dell'acqua e con sabbia come substrato. Plasticità dicevamo.
Plasticità perché questa specie si produce in questa particolare strategia solo in maniera facoltativa. Le due popolazioni che si presumevano essere due specie affini si sono rivelate essere lo stesso A. barlowi che semplicemente stava saggiando un paio di soluzioni eto-ecologiche.

Appare subito evidente il vantaggio adattativo e la possibilità concreta che questo tipo di soluzione possa diventare in breve tempo una strategia evolutivamente stabile.

In realtà a George Barlow era già stata dedicata una specie. Metriaclima barlowi.
Questa volta però il tributo sembra molto più azzeccato. A. barlowi è, a tutti gli effetti, un grande esperimento dell'evoluzione...ancora in corso.


Ultimissima segnalazione.
E' stato descritto anche un Dicrossus. La specie non descritta meno conosciuta in assoluto tra l'altro. Il nome commerciale era Dicrossus sp. "obenschwert". Il nome tecnico è ora D. gladicauda (gladius=spada; cauda=coda)
Purtroppo non trovo una foto da mettere nel post e in Italia non si è mai visto. Però per darvi un idea è molto simile al D. filametosus solo che la caudale non è a lira in quanto mancano i prolungamenti del lobo ventrale della caudale. Sembra la coda di un portaspada al contrario.
Il nostro amico vive in Colombia (rio Atabapo), acque nere (pH 4,4; 10 µS/cm), come in D. filamentosus la specie è poliginica ma il maschio non haremizza, vive in acqua basse e vicino alla riva tra il letto di foglie o la vegetazione di ripa semisommersa.
Se riesco a trovare una foto decente faccio il confronto con le altre 4 specie. Per ora infatti siamo a quota cinque:

D. filamentosus
D. maculatus
D. gladicauda
D. sp. "Tapajos"
S. sp. "Rio Negro"




10 maggio 2008

I tonni non sono mucche


"Tutti gli animali domestici si assomigliano; ogni animale non domesticabile è selvatico a modo suo."

Jared Diamond
(Armi, acciaio e malattie)




Interessante articolo sul tonno rosso (Thunnus thynnus) nell'ultimo numero de "Le Scienze" in edicola questo mese.
Qualche tempo fa avevo segnalato un libro che tratta l'overfishing (non solo del tonno); lo trovate qui.
Ora la storia è parecchio lunga, o corta dipende dai punti di vista, fatto sta che oramai tutte le speranze riposte nella conservazione della specie in natura sono andate perdute. Troppi interessi commerciali, troppi paesi da far ragionare e, fattore scatenante, una domanda che non cessa di dimuire da parte dei mercati orientali. Per chiudere il cerchio gli ecologi hanno decretato il fallimento degli allevamenti off-shore di esemplari giovanili selvatici. Inquinano troppo.
L'unica speranza è la riproduzione in cattività per avere disponibile uno stock destinato al mercato mondiale. Questo è il tema centrale dell'articolo di Richard Ellis su Le Scienze. L'articolo non dice moltissimo su come pensano di riprodurre una specie cosi particolare come può essere il tonno rosso. Vuoi perché, visto lo stampo pioneristico dell'iniziativa, manca bibliografia essenziale; vuoi perché, visto il business in ballo, chi trova delle soluzione efficaci non le grida certo ai quattro venti. Quello che appare chiaro è che per ottenere una F1 anche quantitativamente scarsa, sono in ballo milioni di dollari in tutto il mondo.

Quel che è certo è che ci sono moltissimi enti di ricerca privati e pubblici che stanno dedicando soldi ed energie alla riproduzione dei pesci marini. La sfida è difficilissima e i risultati ad oggi non molto entusiasmanti. Anche nel settore hobbistico molte aziende ed università si stanno cimentando nella riproduizione dei pesci marini per il mercato dei pesci ornamentali. Qualche risultato è stato ottenuto ma vista la scarsa produttività i pesci F1 non sono ancora competitivi sul mercato e si preferisce commercializzare esemplari selvatici.

Quello che però trovo di maggiore interesse non è la questione socio-economica ma bensi la questione ecologica.
Sarebbe interessante calcolare il rapporto tra specie d'acqua dolce e specie marine che è possibile ripodurre in cattività. Non mi stupirebbe un rapporto 200:1. Considerando anche che numericamente le specie che vivono nei due ambienti praticamente si equivalgono (15000 ca. le specie d'acqua dolce/salmastra, 16000 ca. quelle marine), la sproporzione appare davvero enorme.
Le ragioni di questa disparità sono tutte nell'ecologia dei due ambienti. Le acqua interne sono davvero un inferno ambientale se paragonate ai mari. I pesci che le abitano sono campioni di adattamento in un mondo ostico e competitivo. Non che nei mari la vita sia facile ma nessun pesce marino dovrà mai affronate oscillazioni vertiginose di pH oppure abbassamenti repentini della concentrazione di O2 disciolto. Senza contare la pletora di parassiti che sono esclusivi dei pesci d'acqua dolce.
Tutto questo evidentemente li ha portati ad avere una minore produttività e una maggiore adattabilità. Non faccio 10 milioni di uova ma le poche che faccio le faccio come Dio comanda. Cio' si traduce in uova grandi, con embrioni che maturano quasi completamente all'interno dell'uovo e conseguente contrazione della fase larvale post-schiusa. Ah si, dimenticavo la cosa più importante...se trovo un compagno/a che darwinianamente mi garba me lo/la trombo senza troppe storie.
Forse ho generalizzato troppo ma il concetto più o meno è questo.
Tutto ciò si riflette ovviamente sull'aspetto della domesticazione dei pesci. E' torniamo all'incipit di Diamond. Tutte le specie che abbiamo domesticato, dai ciprinidi asiatici ai pecilidi americani passando per i ciclidi e i labirintidi, tutto sommato si somigliano. Variabilità genetica ed estrema facilità riproduttiva. Versatilità ambientale ed ampi areali di distribuzione.
Non tutti i taxa sono rose e fiori però; quando penso ai cobitidi o ai mormiridi non vedo grosse differenze con i pesci marini. Ma credo che, come sempre, la chiave ecologica sia l'unica prospettiva utile da cui osservare queste sfide.
Resta il fatto che sappiamo ancora troppo poco.
Sappiamo poco sull'effetto che alcuni fatori ambientali hanno sull'attività riproduttiva (e.g. pressione), anzi spesso non sappiamo proprio quale fattore ambientale sia davvero determinante e discriminante.


Spero davvero che il progetto di riproduzione del tonno rosso vada a buon fine. Sono pessimista però alcuni aspetti dell'ecologia animale dei pesci marini paiono davvero fuori dalla nostra portata.


06 maggio 2008

NaCl, come se piovesse

Gli Aphanius che vivono in alcune saline con densità demenziali fanno parte di catene trofiche tra le più piccole al mondo. In soldoni in questi bacini riesce a crescere solo un produttore primario (alga unicellulare), un consumatore primario che si pappa l'alga filtrando l'acqua (Artemia sp.) e consumatore secondario che si pappa l'artemia (Aphanius fasciatus). Fine della storia.
Il tutto avrà sicuramente più spazio in un altro post in programma. Appena ho tempo di reperire tutta la bibliografia vedrò di far uscire fuori qualcosa di più sostanzioso. Anche perché questi killi sono incredibilmente specializzati nel vivere a diverse densità attraverso una regolazione genica fine. Eurialinità allo stato dell'arte.


Vabbè il punto adesso è un altro. Quando mi hanno dato questi Aphanius mi sono fatto prendere un pò dal panico. La cosa è stata improvvisa (preavviso di 24h), non avevo vasche libere in casa e l'unica soluzione era quella di mettere su una vasca esterna.
Piglio un vecchio 60 litri e ci metto del sale marino sintetico per 120 litri (la densità del sito di raccolta era 1040 , mica uso il termine "demenziale" tanto per dire), acqua di rubinetto e un legnetto per tranquillizzarli. La vera preoccupazione era il filtraggio. Non potevo usare le piante che uso di solito (nessuna pianta superiore potrebbe sopravvivere in quelle condizioni nemmeno le alofite più estreme) e neanche un qualsivoglia sistema di filtraggio (dove ho le vasche non ho energia elettrica). L'unica speranza era riposta nell'acqua dei pesci.
Se li dentro erano sopravvissute anche solo una manciata di cellule fotosintetizzanti tutte le preoccupazioni sarebbero state inutili.


Prometto di cambiare foto appena possibile. Ma volevo mostrarvi il "miracolo".
Dopo 3 settimane acqua verde, pesci in salute e zero preoccupazioni. Mangiano come porcelli vivo e secco (pense sempre più che il cyclopeeze sia un dono del cielo).
Ancora qualche settimana all'ingrasso e poi si parte con un paio di mop sintetici.

04 maggio 2008

Nani e Nerd (messa cosi suona male però)

Ho una bella mezz'ora libera per scrivere sul blog. Non vedevo l'ora.
Niente aggiornamenti sulle vasche domestiche però. Segnalo un paio di cose e ci faccio scappare giusto giusto un paio di riflessioni.

Chi segue la mailing list dedicata ai ciclidi nani già lo sa. Lo dico anche qui per quelli che non sono iscritti alla ML.
Il buon Lorenzo Bardotti ci ha dato dentro è ha creato davvero un gran bel sito interamente dedicato ai Ciclidi Nani . Al momento si possono già leggere diversi articoli presi dai siti di due che con i nanetti ci sanno fare (Massi e Biggia). Il tocco di Graziano (Playfish, che trovate nella barra dei link, è opera sua), completa un opera davvero interessante.
Come spiega Lorenzo nell'intro del sito una realtà del genere in Italia non esisteva. Aggiungo che il livello con cui si parla di ciclidi in generale (a parte un paio di forum come quello di AIC e quello di Cichlidpower) è scandalosamente basso e di solito si migra sui forum americani o asiatici.
Lo so che Lorenzo non ama molto i forum (lo capisco perché anche io come lui sono nato e cresciuto sul NewsGroup), ma credo che quella particolare diramazione del sito possa trovare davvero una dimensione adeguata.

Sotto un interesse superficiale squisitamente hobbistico i ciclidini sono davvero una fonte inesauribile di speculazioni teoriche. Insomma dove è possibile trovare, grandi laghi esclusi, una radiazione come quella mostrata dal genere Apistogramma? E gli adattamenti alla acque iperacide delle molte specie che abitano il Rio Negro? Senza parlare dell'estrema complessità delle cure paranteli , del mate choice e dei più variegati comportamenti sociali.
Insomma, sotto il termine ciclide nano, che dice tutto e niente, c'è molto di più. Credo davvero che valga la pena pensarli come incredibili esperimenti eco-evolutivi di madre natura che non come piccoli ciclidi adatti a nanovasche come molti si ostinano a pensare.
Conoscendo Lorenzo e il suo "team" credo che le cose possano farsi davvero interessanti!

Sostanzialemte sono un nerd.
Non so come altro potrei definire un appassionato della branca meno apprezzata della biologia.
Uno che al primo anno all'università si scaricò tutto il codice dell'ICZN invece che fare gli esercizietti di stechiometria come tutti le persone normali; o che, tra un quadrato di Punnet e un test del chi-quadrato, sfogliava avidamente le notizie in breve de Le Scienze per vedere se c'era qualcosa di nuovo sul fantomatico citocromo mitocondriale di salcazzo animale sperduto per l'africa. Vi/mi risaparmio l'estasi per le chiavi dicotomiche o l'ebrezza data da caratteri diagnostici in chiave meristica. Tutto sommato un pò di pudore dovrei ancora averlo.
Sto parlando della tassonomia se non si era capito.
Più che altro croce, e molto poco delizia, di qualsiasi zoologo/botanico che si rispetti. Ovviamente parlo della tassonomia sensu stricto senza l'accompagnamento della sistematica che di solito rende il tutto più dignitoso.
Per carità trovo illuminante collocare parentele, descrivere relazioni e "disegnare" cladi, alberi e arbusti. Ma credo che senza un valido strumento tassonomico la sistematica si ridurrebbe e mero esercizio di stile.
Il più grande difetto della tassonomia, anzi non il più grande, diciamo il secondo in ordine d'importanza, è che non si è evoluta molto. E' una scienza che si è parecchio conservata nel tempo più per mancanza di strumenti davvero rivoluzionari che per volontà specifica degli addetti ai lavori. La biologia molecolare aveva dato grandi speranze ma il contributo maggiore è stato a beneficio della sorella più bella e formosa (sistematica) lasciando a bocca quasi asciutta la racchia occhialuta (tassonomia).
Mi fermo qui perché la mezz'ora è agli sgoccioli e rischio di non arrivare al punto.
Punto che vede il bravo nerd che rovista sulla sezione di un forum asiatico e si trova linkato un titolo del genere: Assessment of traditional versus geometric morphometrics for discriminating populations of the Tropheus moorii species complex (Teleostei: Cichlidae),a Lake Tanganyika model for allopatric speciation*.
Sulla morfometria geometrica qualcosa avevo già letto ma quest'articolo a momenti mi fa cadere dalla sedia. Per due motivi.
Il primo è che i Tropheus è un genere che ha dell'incredibile (6 specie nominali e 120 morfi simpatrici per la maggior parte stabili ed ecologicamente identici!!!). Il secondo motivo riguarda il confronto tra due approcci, imho, molto diversi (tradizionale VS morfometrica).
Il solo fatto di poter lavorare su di animali vivi offre un vantaggio enorme sui tempi, sulla mole di lavoro che si può svolgere e sull'accuratezza dei dati (smanettare per più di secolo con un olotipo che gira il mondo sotto formalina non risponde propriamente ai canoni di riproducibilità).
L'articolo evidenzia come il nuovo approccio sia particolarmente adatto a situazione di specie molto vicine tra loro e con discreta affinità filetica. Il caso dei Tropheus è perfetto quindi. Questo limita molto il campo d'azione in linea generale ma lo trovo davvero uno strumento eccellente per species flock, specie politipiche e chi più ne ha più ne metta.
Ammetto di avere un pò barato. Con questo nuovo modello operativo non si possono descrivere nuove specie. Per analizzare i denti faringei e gli otoliti si deve fare ancora alla vecchia maniera.
Ma io sono un nerd...e con queste cose mi gaso ancora come un clupeide in piena frenesia alimentare.




*
M. Maderbacher, C. Bauer, J. Herler, L. Postl, L. Makasa, C. Sturmbauer (2008): Assessment of traditional versus geometric morphometrics for discriminating populations of the Tropheus moorii species complex (Teleostei: Cichlidae), a Lake Tanganyika model for allopatric speciation
Journal of Zoological Systematics and Evolutionary Research 46 (2) , 153–161.