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24 novembre 2008

...qualche volta ci si brucia.


(secondo)

La biologia della conservazione è la scienza attraverso la quale si cerca di conservare la biodiversità del pianeta.

Solitamente quando si parla di biodiversità si è portati a pensare alla diversità (quantità e qualità), delle specie presenti in un determinato ecosistema. In realtà la biodiversità, almeno a livello teorico opera su tre livelli distinti e allo stesso tempo correlati.

1) Bodiversità ecologica (biomi, ecosistemi, habitat ...)
2) Biodiversità genetica (individui, cromosomi, gen ...)
2) Biodiversità tassonomica (phyla, tribù, specie, sottospecie ...)

La correlazione è subito evidente. Non si può pensare di salvaguardare una specie se non si tengono in considerazione gli aspetti genetici delle popolazioni naturali e gli aspetti ecologici dell'habitat in cui queste popolazioni vivono.

Quando dico di "non comprare una determinata specie" è più che altro un appello alla presa di coscienza piuttosto che un dettame operativo potenzialmente utile.
Il mercato italiano è troppo piccolo, troppo povero e troppo arretrato per sperare in un qualsivoglia impatto sulle popolazioni naturali. Ma la "presa di coscienza" opera nella direzione culturale e questo è, e sarà sempre, un fattore positivo. La conservazione al livello operativo è attuabile solo ad un livello politico nei paesi interessati.

Molto spesso si sente parlare di conservazione delle specie in acquario. Sembra più una giustificazione alla bramosia di mettere le mani su specie rare che un reale interesse scientifico. Anche perché, diciamolo, per un appassionato sperare di conservare una specie nelle proprie vasche per una possibile reintroduzione è praticamente impossibile! Cosi come non è sempre automatica la salvaguadia attraverso la riproduzione in cattività. Anzi a volte capita che più una specie è riprodotta in cattività e più si fa intensa la "caccia" al selvatico. Vuoi perché dopo alcune generazioni gli esemplari riprodotti si possono discostare parecchio dei fenotipi naturali e vuoi perché avere selvatici nella vasche conferisce uno presunto status particolare all'acquariofilo in oggetto.
C'è anche da considerare l'aspetto economico. Un pesce pescato in un paese del terzo mondo costerà sempre meno di un pesce allevato e riprodotto nel secondo e primo mondo.

Senza falsi moralismi e a scanso di equivoci. Credo sia giusto pescare per il mercato hobbistico. Credo sia sempre positivo dare un valore a qualcosa di vivo piuttosto che a qualcosa di morto.
Gli strumenti scientifici per pescare "in sicurezza" ci sono. Prelevare senza distruggere non è solo auspicabile ma, cosa fondamentale, tecnicamente possibile.
Lo si fa? No. E' tutto demandato alle volontà politiche.
Come dicevo prima possiamo puntare, con buone speranze di successo, alla "presa di coscienza". Non sarebbe poco.

Se per Puntius denisonii la situazione è difficile perché non riprodotto in cattività per Scleropages formosus la situazione è diversa. Questa specie è riprodotto in cattività da almeno vent'anni (primo report del 1981 a Singapore).

Scleropages formosus (Muller & Schlegel, 1844)
gingko100/wikimedia commons



Diffuso nel sudest asiatico questa specie presenta quattro popolazioni fenotipiche:

gree/silver (tutto il SE asiatico)
cross back golden (Malesia occidentale)
super red (Kalimantan occidentale)
red tail golden (Indonesia)

La sua storia è particolare. Fino agli anni '70 S. formosus era un piatto povero delle popolazioni locali. Venica pescato poco e venduto a poco prezzo nei mercati del pesce. Alla fine degli anni '70 venne insignito, dai cinesi, dello status di portafortuna, decretandone cosi il lento e inesorabile declino.

S. formosus raggiunge la maturità sessuale intorno al 4° anno di vita, le poche uova (30-100) vengono incubate dal maschio. Essendo in cima alla catena alimentare le popolazioni naturali sono piccole e, a causa della territorialità, disperse sul territorio.
Oltre a questi 3 fattori (poche uova, popolazioni piccole e disperse), dobbiamo aggiungere anche l'erosione antropica dell'habitat...e il nuovo status di portafortuna (di certo non per lui).

Fortuna o no, secondo Kottelat, la specie è estinta in Thailandia; cosi come sono sparite alcune popolazioni delle Malesia e di Sumatra, tant'è che ad oggi è l'unico pesce osseo di aqua dolce in appendice I della CITES.
Ciò vuol dire che solo gli esemplari riprodotti in cattività possono essere commercializzati. Eppure non è cosi. Vengono ancora venduti esemplari selvatici.

Il paradosso però è un altro ed è anche abbastanza ridondante in questi casi. Tanto che vale anche per P. denisonii e per moltissime altre specie.
Da un punto di vista scientifico non ne sappiamo praticamente niente. Stiamo annientando quello che non conosciamo.

Forse è più facile, non lo so.
Sicuramente è più triste.


Testi e articoli consultati:

Rowley et al. 2008. Harvest, trade and conservation of the asian Arowana Scleropages formosus in Cambodia. Aquatic Conserv: Mar.Freshw.Ecosyst. 18: 1255-1262 (2008)


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