29 novembre 2008

Acquari in Certosa

Ieri hanno inaugurato.
Qui trovate il sito del Museo con annessa notizia dell'inaugurazione.

Relazione sui modelli evolutivi:






Relazione sulla diversità dei pesci delle acque interne:





Messo con priorità altissima sull'agenda.

Complimenti a chi ha pensato, finanziato e realizzato una struttura di questo tipo.

27 novembre 2008

Hic sunt poecilia


Durante la sua splendida conferenza, nell'ambito del congresso AIC del 2001, Lamboj fece un affermazione che mi lasciò parecchio perplesso.
I pesci che più facilmente riusciva a pescare in Africa centro-occidentale erano i guppy!

Se di Lamboj ci si può fidare ciecamente altrettanta fiducia possiamo riporre nella forza adattativa di questo piccolo pecilide. Onnivoro, dall'alto potenziale riproduttivo e incredibilmente adattabile alle più disparate condizioni ambientali riscontrabili nei climi caldi. Se a tutto ciò aggiungiamo un'elevata variabilità genetica otteniamo, come direbbero gli ecologi, una specie r-stratega con tutti i crismi.

La mia perplessità quindi non riguardava la competitività di Poecilia reticulata ma, piuttosto, l'inizio della diffusione di questa specie in Africa.
Se la diffusione in Asia come specie alloctona è tutta a carico degli allevamenti intensivi per il mercato acquariofilo, in Africa non può essere certo questo il motivo visto che li, di allevamenti, non ce ne sono.
Le cose, secondo me, sono due. Acquariofili possono aver rilasciato dei guppy "aquarium strain" in natura con troppa leggerezza. Il che è plausibile. Oppure qualcuno, anche in un lontano passato, può aver pensato di introdurre i guppy per la lotta alla malaria. Questo è ancora più plausibile. Visto che i pecilidi, con poche luci e molte ombre, venivano considerati ottimi antianofelici un pò in tutto il mondo.

Pochi fatti e qualche speculazione. Un certezza però c'è. Questi sono parecchio isolati e visto che ai fondatori non interessa il meccanismo che innesca il processo ma solo il processo evolutivo in quanto tale...beccatevi questi nuovi mirabolanti Poecilia sp. Congo:

Hai visto mai, magari tra un paio di milioni di anni scopriranno anche loro di aver avuto un' Eva africana.


25 novembre 2008

Divertissement

Preso da qui e da qui.
Qualcosa ho aggiunto qualcosa ho tolto.
Io mi sono sbellicato.

24 novembre 2008

...qualche volta ci si brucia.


(secondo)

La biologia della conservazione è la scienza attraverso la quale si cerca di conservare la biodiversità del pianeta.

Solitamente quando si parla di biodiversità si è portati a pensare alla diversità (quantità e qualità), delle specie presenti in un determinato ecosistema. In realtà la biodiversità, almeno a livello teorico opera su tre livelli distinti e allo stesso tempo correlati.

1) Bodiversità ecologica (biomi, ecosistemi, habitat ...)
2) Biodiversità genetica (individui, cromosomi, gen ...)
2) Biodiversità tassonomica (phyla, tribù, specie, sottospecie ...)

La correlazione è subito evidente. Non si può pensare di salvaguardare una specie se non si tengono in considerazione gli aspetti genetici delle popolazioni naturali e gli aspetti ecologici dell'habitat in cui queste popolazioni vivono.

Quando dico di "non comprare una determinata specie" è più che altro un appello alla presa di coscienza piuttosto che un dettame operativo potenzialmente utile.
Il mercato italiano è troppo piccolo, troppo povero e troppo arretrato per sperare in un qualsivoglia impatto sulle popolazioni naturali. Ma la "presa di coscienza" opera nella direzione culturale e questo è, e sarà sempre, un fattore positivo. La conservazione al livello operativo è attuabile solo ad un livello politico nei paesi interessati.

Molto spesso si sente parlare di conservazione delle specie in acquario. Sembra più una giustificazione alla bramosia di mettere le mani su specie rare che un reale interesse scientifico. Anche perché, diciamolo, per un appassionato sperare di conservare una specie nelle proprie vasche per una possibile reintroduzione è praticamente impossibile! Cosi come non è sempre automatica la salvaguadia attraverso la riproduzione in cattività. Anzi a volte capita che più una specie è riprodotta in cattività e più si fa intensa la "caccia" al selvatico. Vuoi perché dopo alcune generazioni gli esemplari riprodotti si possono discostare parecchio dei fenotipi naturali e vuoi perché avere selvatici nella vasche conferisce uno presunto status particolare all'acquariofilo in oggetto.
C'è anche da considerare l'aspetto economico. Un pesce pescato in un paese del terzo mondo costerà sempre meno di un pesce allevato e riprodotto nel secondo e primo mondo.

Senza falsi moralismi e a scanso di equivoci. Credo sia giusto pescare per il mercato hobbistico. Credo sia sempre positivo dare un valore a qualcosa di vivo piuttosto che a qualcosa di morto.
Gli strumenti scientifici per pescare "in sicurezza" ci sono. Prelevare senza distruggere non è solo auspicabile ma, cosa fondamentale, tecnicamente possibile.
Lo si fa? No. E' tutto demandato alle volontà politiche.
Come dicevo prima possiamo puntare, con buone speranze di successo, alla "presa di coscienza". Non sarebbe poco.

Se per Puntius denisonii la situazione è difficile perché non riprodotto in cattività per Scleropages formosus la situazione è diversa. Questa specie è riprodotto in cattività da almeno vent'anni (primo report del 1981 a Singapore).

Scleropages formosus (Muller & Schlegel, 1844)
gingko100/wikimedia commons



Diffuso nel sudest asiatico questa specie presenta quattro popolazioni fenotipiche:

gree/silver (tutto il SE asiatico)
cross back golden (Malesia occidentale)
super red (Kalimantan occidentale)
red tail golden (Indonesia)

La sua storia è particolare. Fino agli anni '70 S. formosus era un piatto povero delle popolazioni locali. Venica pescato poco e venduto a poco prezzo nei mercati del pesce. Alla fine degli anni '70 venne insignito, dai cinesi, dello status di portafortuna, decretandone cosi il lento e inesorabile declino.

S. formosus raggiunge la maturità sessuale intorno al 4° anno di vita, le poche uova (30-100) vengono incubate dal maschio. Essendo in cima alla catena alimentare le popolazioni naturali sono piccole e, a causa della territorialità, disperse sul territorio.
Oltre a questi 3 fattori (poche uova, popolazioni piccole e disperse), dobbiamo aggiungere anche l'erosione antropica dell'habitat...e il nuovo status di portafortuna (di certo non per lui).

Fortuna o no, secondo Kottelat, la specie è estinta in Thailandia; cosi come sono sparite alcune popolazioni delle Malesia e di Sumatra, tant'è che ad oggi è l'unico pesce osseo di aqua dolce in appendice I della CITES.
Ciò vuol dire che solo gli esemplari riprodotti in cattività possono essere commercializzati. Eppure non è cosi. Vengono ancora venduti esemplari selvatici.

Il paradosso però è un altro ed è anche abbastanza ridondante in questi casi. Tanto che vale anche per P. denisonii e per moltissime altre specie.
Da un punto di vista scientifico non ne sappiamo praticamente niente. Stiamo annientando quello che non conosciamo.

Forse è più facile, non lo so.
Sicuramente è più triste.


Testi e articoli consultati:

Rowley et al. 2008. Harvest, trade and conservation of the asian Arowana Scleropages formosus in Cambodia. Aquatic Conserv: Mar.Freshw.Ecosyst. 18: 1255-1262 (2008)


17 novembre 2008

A giocare col fuoco...

Riguardo alle estinzioni delle popolazioni e delle specie in natura, il mondo hobbistico ha sempre fatto spallucce. Dati certi non sono mai saltati fuori e le colpe sono sempre ricadute sulle altre attività antropiche ad alto impatto ambientale. Al limte si ammetteva il problema delle transfaunazioni (che è, oggetivamente, un problema enorme e potenzialmente molto più dannoso delle pesca intensiva di una specie), e chi si era visto, si era visto.

In soldoni il mantra recitava più o meno cosi: le specie ittiche di interesse hobbistico si estinguono ma è molto più probabile che l'estinzione avvenga a causa di inquinamento, deforestazione o rilascio di specie alloctone ad uso alimentare che non per la pesca intensiva dettata dalle assurde mode di un mercato acquariofilo assolutamente consumistico.

E' fuori di dubbio che le specie passino a miglior vita soprattutto a causa delle attività umane ad alto impatto. Ma nascondersi dietro al dito dell'antropizzazione mi è sempre sembrato poco elegante. Ora qualche dato comincia a saltar fuori.
Comincio con questo e se riesco domani finisco con un altro.

(primo)


Puntius denisonii Day, 1865
stan shebs/wiki commons

Puntius denisonii ha la sfortuna di fare la conoscenza con gli acquariofili nel 1996. Oggi ,poco più di dieci anni dopo, è ad un passo dal lasciarci definitivamente le pinne.
Endemico del Kerala, stato dell'India sudoccidentale, questo ciprinide di medie dimensioni (<15cm), se ne stava tranquillo nel suo piccolo areale. Durante la stagione dei monsoni (giugno-agosto), i giovanili maturavano sessualmente per prodursi, e riprodursi, in amucchiate decisamente asimmetriche (25 maschi : 1 femmina). Di indole tranquilla e pacifica si abbuffava con sontuosi banchetti di alghe filamentose, diatomee e materiale vegetale di varia natura. Aveva un solo problema...era troppo colorato per passare inosservato. Inzio della fine.

La tecnica adottata dai pescatori locali non è lungimirante. Gli esemplari si fanno pescare facilmente, durante la stagione dei monsoni, in grossi gruppi nelle zone di ripa. I giovanili, molto colorati, si portano via, gli adulti riproduttori si ributtano in acqua (molti per lo stress muoiono , sopratutto le femmine). Se elimini le nuove generazioni e le vecchie non le fai riprodurre non ci vuole molto per capire che il gioco durerà poco. E infatti.

Da diversi fiumi del Kerala la specie non si trova più. Da quelli dove ancora si riesce a pescare se ne pescano talemente pochi che il prezzo dal 2002 ad oggi è quasi quadruplicato.

Purtroppo se ne pescano tanti in natura perché la riproduzione in cattività ancora non è stata descritta (il solo report ufficiale proviene da uno zoo inglese, anche se a Singapore e in Israele ci stanno già lavorando).
La riproduzione in cattività porterebbe, però, solo ad abbassamento della pressione sulle popolazioni naturali, le quali, senza un progetto di conservazione serio e duraturo sarebbero, comunque, candannate.

Nel frattempo, e fossi in voi, io, non lo comprerei.



Testi e articoli consultati:

‘Damsel in distress’- The tale of Miss Kerala, Puntius denisonii
(Day), an endemic and endangered cyprinid of the Western Ghats
biodiversity hotspot (South India)
Aquatic Conserv: Mar. Freshw. Ecosyst. (2008)

Overfishing


Ne avevo parlato qui parlando del libro di Clover. La puntata di Report di questa sera parte dalle spadare calabresi e dalla pesca a strascico "ammazza poseidonia" per poi riprendere, grosso modo, i temi del libro. Temi che riguardano l'overfishing, le sovvenzioni folli alla pesca indusriale "pesante", la svendita del golfo di Guinea all'Europa e le tecnologie avanzate che si usano oggi (l'avanzamento delle tecnologie di pesca è inversamente propozionale alla quantità di pesce presente nei mari).
Il servizio sfiora appena la crisi del settore in Inghilterra e non parla di quella, forse più pesante, del nordamerica orientale.

Il servizio (testo e video), lo trovate qui.

Ah si, parla anche del pangasio (il pesce-ratto di fantozziana memoria dovrebbe rendere l'idea), che insieme alla tilapia e alla perca del Nilo fa bella mostra di se su tutti i banchi di pesce d'Italia.


Secondo Thomas Huxley i mari sarebbero sempre stati una fonte inesauribile di pesce.
Aveva sottostimato qualcosa.


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